La musica e il silenzio
Pubblicato in: Il nuovo Corriere della Sera, anno LXXX, fasc. 68, p. 3
Data: 20 marzo 1955
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La musica nasce — come tutte le cose che meritano di esistere — dal suo opposto, cioè dal silenzio. I veri musicisti altro non sono che i violatori più o meno potenti del terribile silenzio nel quale sono immersi i cieli e le anime.
Il silenzio pesa, impaura. Anche il viandante, quando è solo nella campagna notturna e taciturna, sente il bisogno del canto, cioè della musica, per confortare il suo terrore. Anche Pascal, il sublime Pascal, era spaventato dall'immenso silenzio dei cieli infiniti.
La musica cerca di sormontare, d'interrompere il silenzio. Di convertirlo in suoni, in accordi, in armonie, cioè di alleviarne la pena, la paura e l'angoscia. I musicisti, a loro modo, forse senza saperlo, compiono un'opera di misericordia spirituale.
I musicisti perciò compiono il miracolo di dare la voce ai morti, di rivelare le parole che non osiamo dire, di suggerire un canto di gioia anche all'infelicità, di far nascere oscuri rimorsi anche nei soddisfatti. Quel che l'uomo non vuol confessare a se stesso e da lui vien relegato nel carcere del silenzio, la musica lo manifesta senza timore. Dei musicisti si potrebbe dare la definizione che Shakespeare dette dei poeti nel Re Lear: « le spie di Dio ».
Ma i musicisti non possono operare quei prodigi che s'è detto se non sanno armonizzare, in se stessi, l'ordine divino degli astri e il disordine umano dei cuori. Essi tentano di ricomporre quel che Dio fece e l'uomo disfece. Perchè la musica non è, infine, che la balbettante registrazione dei palpiti del gran cuore dell'universo.
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